DIMOSTRAZIONE_65: BERKELEYIANA
premessa
 
la confutazione di Berkeley è per l’episteme di estrema semplicità, perché è già stata fatta confutando Kant:
 
1.] il processo che Berkeley critica, l’astrazione, è il cuore della gnoseologia epistemica, per la quale appunto il vero reale è l’astratto;
2.] per Berkeley la conoscenza è percezione, e questa riduzione [fatta propria da tutto il pensiero occidentale, anche dalla neo_scolsatica, fin da Platone, che per conoscere le idee si eleva ad una conoscenza “intelligibile”, che per l’episteme è invece semplicemente e naturalmente il pensiero] è frutto del nichilismo [che, fraintendendo il senso dell’essere, fraintende così anche il pensiero, ovvero la conoscenza, ridotta all’apparire dell’apparire, cioè alla percezione: al pensiero è associata l’immediatezza logica, ovvero il formalismo, mentre l’essere è inteso solo per l’immediatezza fenomenologica, e appunto il fenomeno è apparire per la percezione];
3.] per l’episteme, invece, che usa la tripletta pensiero, linguaggio e percezione, il linguaggio [sintesi nel Verbo di pensiero, linguaggio in senso stretto e percezione] media tra percezione e pensiero, astraendo dall’ente/apparire la sua esistenza [producendo la differenza_ontologica], e astrae questa da se stessa [producendo la differenza_protologica, ovvero ricavando il concetto di esistenza pura e della sua struttura proto_originaria];
4.] poi, astratta dal pensiero l’esistenza dell’ente dall’ente percepito, il pensiero riattribuisce all’ente_percepito la sua esistenza, e così, tramite il linguaggio e opportuna modelizzazione, il pensiero [e non la percezione] intuisce [l’intuizione è la base per pensiero: tutta la matematica_deduttiva è sequenza analitica, sistematica e sintetico_analitica di intuizioni] che l’ente della rappresentazione, e che è tale, cioè soggettiva, è anche oggettivo, fuori di essa, perché l’esistenza pura è concetto, privo di rappresentazione, essendo astratto, assolutamente oggettivo, e viene applicata/appiccicata all’ente, portato così fuori del soggetto. Quindi:
 
a.] la teoria epistemica della realtà e della sua conoscenza è sia realismo che idealismo;
b.] per quanto è possibile, essa deve spiegare come sia possibile al pensiero “saltare al di fuori della propria ombra” [l’ombra è il campo del solipsismo/idealismo];
 
5.] già da più di 15 anni l’episteme definiva la rappresentazione come solo soggettiva, e poi ha capito che l’essenza dell’oggettività del reale deve essere s_materializzata, ma non in senso spirituale, bensì in senso esistenziale, perché l’esistenza è necessaria [Parmenide], priva di rappresentazione [Heidegger] e quindi astratta [Hegel]: ma questo astratto non è irrazionale o privo di fondamento [Heidegger secondo Severino] e non viene superato dal concreto [secondo Hegel], bensì [e questo principio, finora non detto, è forse il pià importante della metafisica epistemica], proprio in quanto chiuso in se stesso e su se stesso, nella propria differenza protonica, determina Dio e il tutto verso Dio fuori di se stesso, in un’emanzione, in cui il primo termine è l’uno con la lettera minuscola [esistenza e uno], e l’ultimo termine è l’uno con la lettera maiuscola: Dio come Essere e Esistenza [schema dell’evoluzione trasferito all’emanazione: dall’Uno_Dio inizia la trinitarizzazione]. s_materializzato l’ente, l’episteme torna a materializzarlo anche al di fuori della rappresentazione: la cosa, l’oggetto, è materia, e questa è sia soggettiva [come percepita], sia oggettiva, ma come astratta/non_percepita;
6.] infine, per l’episteme il nichilismo gnoseologico, che fa prevalere il concreto sull’astratto e la percezione dell’ente concreto [= apparire dell’apparire] sul pensiero dell’essere/esistenza astratto, deriva dal fatto che l’uomo [che adotta una concezione totemica della conoscenza, in cui il dato è introiettato dalla mente, anziché una concezione epi_stemica della conoscenza, per cui pensare è essere, e quindi se penso il tutto io devo essere esteso come il tutto] proietta la fonte energetica [frutto proibito, punto_omega, il danaro, ecc.] nell’ente, e quindi lo vuole concreto;
7.] l’uomo teme l’astratto, e lo identifica nichilisticamente/heideggerianamente con nulla/Ni-ente, perché “vive” l’astratto come vuoto, cioè assenza della fonte, ovvero caduta infernale. Invece il vero reale è l’astratto, Dio è astratto, il tutto è astratto, e il concreto è solo l’estasi e il piacere.
 
dimostrazione
 
ciò posto, si constata che Berkeley ha ragione quando dice che l’apparire che cessa di apparie all’uomo deve continuare ad apparire = essere a Dio …
 
apertura di macro_parentesi [in tale identità c’è tutto il nichilismo dell’occidente, di Severino e della neo_scolastica: l’essere è anche apparire, ma non si riduce ad esso, l’essere è innanzitutto l’essere stesso, e in tale auto_identità, non tautologica, sta la sua oggettività esterna all’uomo: infatti: è ≠ esiste ≠ esistere ≠ esistenza: questi diversi modi di esistere dell’esistere significano che l’essere non è solo tautologicamente l’essere stesso, ma è la propria auto_condizione esistenziale, il circolo auto_fondativo dell’essere, l’essere come causa di se stesso, e quindi un astratto esistente, astratto perché non rappresentato, e causa di tutto perché logico_formalmente auto_contraddittorio (apparetemente) ma coerente, e il tutto, gerarchizzato im_mediatamente in Dio (nell’esistenza, nel pensiero e nell’anima) e mediatamente fino a Dio (nello spirito e nel corpo), è questa coerenza, intesa come condizione a_temporale (perché sempre deve essere) di coerenza del principio, cioè dell’auto_fondazione dell’esistenza in sé pura astratta] chiusa macro_parentesi …
 
  infatti:
 
1.] la rappresentazione presuppone un campo spirituale che traduca l’oggetto [ente esistenziale] in oggetto soggettivizzato [ente apparente];
2.] l’uomo ha un campo che egli non può dominare: vede [in modo naturale, senza ad esempio il telescopio] le montagne, ma il suo campo spirituale non può investirle autonomanente, perché esse sfuggono al controllo, da parte dell’uomo, della propria immaginazione, che non è solo passiva [come dev’essere, se la soggettivizzazione riguarda la realtà vera], ma anche “enorme”;
3.] quindi, il campo spirituale dell’uomo, in cui egli è immerso, è dato da Dio [o dalla stele: se esiste la stele, raggio spirituale, esiste Dio, da cui essa proviene, avendo l’informazione dell’uomo, quindi dell’Uomo].
 
perché il campo dell’uomo dovrebbe essere piccolo ? correzione:
 
1.] non piccolo, ma de_centrato;
2.] l’uomo si sposta, e la montagna è ferma: normalmente [configurazione standard della vita], è vero che la montagna dovrebbe spostarsi, ma relativamente all’uomo, che non dovrebbe spostarsi [essendo, come dice Putnam, cervello nella vasca, e questo normalmente];
3.] cioè l’uomo si sposta relativamente a un campo immobile, essendo la percezione della montagna una triangolazione [catesiana/berkeleyiana] tra uomo, Dio e montagna. Ciò dovrebbe essere approfondito e meglio spiegato, ma per ora può bastare: la presente dimostrazione ha solo intuito qualcosa: Berkeley ha forse capito che l’apparire è anche in sé vero, come apparire, perché appare ad un altro conscio: non dal punto di vista dell’essere [Severino], ma da quello di un Dio che è condizione per una rappresentazione del mondo [Schoperhauer], “troppo grande” per l’uomo, cioè perchp sia creata dal solo campo spirituale [steleologico] dell’uomo.