DIMOSTRAZIONE_176: DELLA CODIFICAZIONE, DEL SENSO COMUNE, SPERIMENTALE
 
questa dimostrazione nasce dal desiderio speculativo di vedere come può, dal niente, nascere una dimostrazione dell’esistenza di dio, con un puro sforzo del pensiero che si applichi alla dimostrazione dell’esistenza di dio, e utilizza dati del senso comune [i punti seguenti seguono il filo logico di un ragionamento]:
 
1.] dio è un nome, che rimbomba nella mente dell’uomo.
2.] dio è un’idea, di cui la mente può offrire una rappresentazione [artistica nelle religioni, scientifica nell’episteme/tale perché dio viene nell’episteme correlato, come soggetto, all’oggetto necessario, e tale correlazione è scientifica perché, essendo dettata dall’oggetto, cioè dalla necessità, può essere definita in uno e un solo modo, quello appunto detto “standard” o “normale” = esistenzialmente e formalmente necessario].
3.] dio, che può essere oggetto delle fantasie, è stato oggettivamente [e obiettivamente], prevalentemente interpretato dall’inconscio dei popoli come un’entità pensata come vera e reale, e infatti anche come agente sui comportamenti [fedi religiose, pratiche religiose, sensi di colpa e nevrosi morali] [l’ateismo vuole che dio non esista, ma poiché il tesimo vuole, nello stesso modo, che dio esista, l’ateismo si può spiegare come difesa da una nevrosi prodotta da una falsa, ma inconscia e inconsciamente agente, rappresentazione della divinità, cioè inadeguata, e dalla quale quindi l’ateismo si difende: quindi, anche l’episteme e il credente sono “atei”: essi non credono nell’esistenza di una falsa divinità/essi credono nell’esistenza della divinità corretta].
4.] a questo punto non si dice più che esiste solo ciò che appare [d’altra parte altre dimostrazioni mostrano proprio che dio “appare”, apparendo nel linguaggio, e vi appare, secondo il punto 3.], prevalentemente come linguaggio-realtà, non solo come linguaggio-fantasia], perché si è detto [e anzi qui si precisa], che anche se l’apparire dell’uomo fosse infinito e coprente tutti gli infiniti cosmi teorizzati dalla cosmologia moderna_contemporanea [bruno pensa a infiniti mondi come “sistemi solari”, la cosmologia_contemporanea, invece, a infiniti mondi come universi paralleli], ciò che in dio non appare all’uomo è ciò che neanche in tale ipotesi all’uomo apparirebbe: infatti l’apparire di dio all’uomo non è quantitativo, ma qualitativo/ad esempio, l’uomo non vede la materia, ma “sa” che esiste la materia e che essa “appare”/ciò che io vedo può solo essere il campo spirituale, perché la vita, la coscienza e la sensibilità degli organi di senso è spirito, non materia, e la materia entra in questo campo spirituale solo come forma e quantità/ma lo spirito, che vede, non vede se stesso, come non vede la materia: l’uomo sa dell’esistenza dello spirito, che vede, e della materia, senza vederli: la conoscenza dell’uomo è intuitiva e associata all’esistenza di ciò che non appare. l’apparire di dio non è come l’apparire di una stella, esso è apparire di dio come spirito, un tipo di apparire a cui l’uomo è attualmente separato, e come l’uomo sa dell’esistenza della materia, senza vedere la materia [perché si vede solo l’effetto agente dello spirito, che unicamente è vita e sensibilità], così in una dimostrazione dell’esistenza di dio l’uomo deve poter sapere dell’esistenza di dio, senza vedere dio nel senso di vedere la tipologia di apparire alla quale è associato lo spirito di dio e che è dio [allo stesso modo, si è già detto, l’uomo-scienziato non vede il cosmo, ma una sua simulazione virtuale, eppure è convinto di vedere il cosmo: tutta la scienza moderna è quindi un dire inconscio dell’esistenza di oggetti (stelle, pianeti, galassie e atomi), che esistono, ma non appaiono all’esperienza attuale: la loro simulazione ha fatto dire della loro realtà, la quale non appare]. appartiene al senso comune la constatazione che la materia “non vede”, ma è solo lo spirito che vede (“io” sono anima in un corpo di carne, “io” non sono questo corpo di carne), per cui ciò che appare è il campo spirituale. [la materia, che emerge nel campo spirituale dell’uomo, lascia su di esso una traccia oggettiva, infatti essa lascia la stessa traccia anche, ad esempio, nelle fotografie, così come essa appare al campo spirituale dell’uomo.]
5.] come quindi “appare”, a suo modo, in modo peculiare, all’uomo, attualmente [fuori del paradiso] l’esistenza di dio ? è proprio necessario che dio “appaia”, per essere detto esistente ? il pensiero, è stato detto, è intuizione speculativa, e questa è una forma specifica di apparire. dimostrare l’esistenza di dio significa scatenare nell’intuizione dell’uomo la conoscenza, come certezza razionale, dell’effettività di tale esistenza.
6.] in gran parte delle dimostrazioni, si è ricavata l’esistenza di dio da questo fatto: il piano dell’esistenza è anche necessario, e ad esso appartiene, come sua parte, l’esistenza di dio.
7.] dire “esistenza di dio” significa fare appartenere dio a questo piano. l’uomo vi appartiene [l’essere è: il piano/cogito ergo sum: appartengo all’essere]. dimostrare l’esistenza di dio significa dimostrare che l’esistenza di dio è necessaria e necessariamente correlata all’esistenza del piano dell’esistenza necessaria.
8.] l’uomo è un ente reale, che, nelle religioni [nell’episteme dio non appartiene alla religione, ma alla filosofia, perché la filosofia descrivere l’essere, a prescindere dalla religione, e servendosi anche della fede religiosa: nella religione appaiono contenuti a carattere speculativo (in modo spesso simbolico), come l’esistenza di dio, oggetto di fede, e il fatto che dio sia creatore del mondo, oggetto di fede, esistenza di dio creatore che nell’episteme è ipotesi e tesi di filosofia/ = ragione speculativa, o scienza dello spirito/nell’episteme “spirito” non è “spiritualità”, ma è sostanza (aristotelica) in senso “biologico”], pensa e descrive dio come ente reale: sul piano dell’esistenza, la credenza religiosa descrive una relazione tra l’uomo-essere-reale-esistente e dio-essere-reale-esistente. l’esistenza di dio è oggetto di fede, ma la relazione tra dio e uomo è “carnale”, come se dio esistesse, cioè appunto come se dio fosse ente reale.
9.] a questo punto si potrebbe riuscire a correlare la “realtà” di dio, come ente oggetto di una relazione con il credente, e “esistenza” di dio.
10.] nel piano dell’esistenza, il mediatore tra esistenza e soggetto [uomo e dio] è il pensiero del soggetto [per l’uomo: cogito ergo sum], pensiero che trasforma l’esistenza in realtà e la realtà in esistenza. a questo punto, tenuto conto del punto 3.], in cui si parla di “inconscio dei popoli” [e piaget teorizza l’inconscio_cognitivo, che nell’episteme è un apparato caretoriale di tipo nomenico (il noumeno precede dio e, come principio, lo determina), in senso kantiano, allargato alle categorie metafisiche e teologiche: categorie come concetti di hegel], si può concludere che l’inconscio dell’uomo può [nell’esperienza religiosa, ma, ora, anche speculativa in senso epistemico] teorizzare dio come realtà, solo perché in tale inconscio, il pensiero [come intuizione inconscia: l’inconscio, parte della mente, e appunto parte del pensiero] dell’uomo “legge” [e così dimostra] l’esistenza di dio [e così la sua realtà], come appartenente a quel piano dell’esistenza, a cui il pensiero dell’uomo associa anche l’uomo, nel cogito ergo sum: per poter codificare dio come realtà [per l’esperienza relazionale religiosa, e specutativa rappresentativa di tipo epistemico], dio deve essere esistente, e così il pensiero dell’uomo, a livello inconscio, deve poter vedere, sentire, toccare, intuire l’esistenza di dio [anche per questo il nome di dio rimbomba nella mente umana: punto 1.]].
11.] in conclusione, perché nell’inconscio dio possa essere considerato come ente reale [e quindi esistente][oggetto reale dell’esperienza relazionale religiosa], il pensiero dell’uomo [a livello inconscio], vede e intuisce l’esistenza di dio [associata al piano dell’esistenza ncessaria], e così [e solo così] la codifica come ente reale, oggetto dell’esperienza religiosa e della speculazione scientifico-epistemica.

nota
 
la distinzione tra reale-reale, cioè reale come realmente esistente, e reale come creduto-reale, cioè come creduto esistente [distinzione che pone l’identità tra realtà/reale e esistenza/esistente/ma la dimostrazione pone una distizione tra reale e esistente], non vanifica la dimostrazione. infatti, ciò che è creduto come esistente e come reale, è “costruito” come tale, e può esserlo [dice la dimostrazione], perché la codificazione esistente-reale parte dall’esistenza effettiva di ciò che, quindi, è riconosciuto come reale. quella distinzione, qui presupposta, tra reale e esistente, sta qui: un popolo tribale crede nella divinità, non la dimostra, ma si rapporta ad essa come fosse realmente esistente, cioè reale, perché esistente; questo popolo, tribale [detto qui “tribale” anche perché è nella stessa condizione del pensiero umano, “tribale”, cioè, perché non riesce con la ragione a dimostrare razionalmente l’esistenza di dio] non si pone il problema dell’esistenza di dio: si rapporta ad esso come se esistesse, cioè come ente reale. ebbene, la dimostrazione dice che ciò è possibile, proprio perché il pensiero codifica l’esistenza di dio nella realtà di dio: il fatto che dio sia inteso come “ente reale”, e non come “ente fantasioso”, è frutto di questa codificazione, che presuppone oggettivamente l’esistenza di dio, codificata dal pensiero come realtà [e quindi il pensiero umano nell’inconscio “vede/sperimenta” dio]. per la fede cristiana gli dei della grecia non esistono, e anche per socrate essi non esistono, ma è reale il sentimento religioso del popolo greco, per cui la fede cristiana riconosce il dio greco, pur inesistente, come “reale” per il popolo greco, cioè come immagine del vero dio esistente.