DIMOSTRAZIONE_120: ESEGETICA_PRIMA, RTZ_4, FENOMENOLOGICA_SETTIMA
 
la presente dimostrazione mostra l’evidenza_fenomenologica e, quindi, la potenza dimostrativa dell’“esegesi_teologica”, di cui sono mostrati i caratteri nella “Premessa” e nell’“Introduzione” del libro “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger/Papa Benedetto XVI.
la dimostrazione si collega alla dim_35 [apologetica_scientifica]. in questa, si dice che, ad esempio, gli scritti apologetici di Messori sulla sacra_scrittura hanno un potere dimostrativo, perché, chiarificando in modo storico_critico la veridicità/attendibilità dei vangeli come testimonianza diretta della risurrezione di un uomo, [di]mostrano in essi la veridicità della loro testimonianza, reale, di un uomo che, per il fatto di essere risorto dai morti, è l’Uomo, cioè Dio.
ora, invece, si constata [ratzingerianamente] che anche solo dalla lettura fenomenologica dei vangeli traspare, anche in collegamento con il sistema [descrittivo/spiegazionale] catechistico [esegesi, anche perciò, detta “teologica”], fenomenologicamente, l’evidenza veritativa, tale dal punto di vista fenomenologico, della loro testimonianza [evidenza detta fenomenologica]: è fenomenologicamente evidente la verità/attendibilità della testimonianza dei vangeli.
 
nota: l’induzione fenomenologica
 
posto un soggetto che possedesse la certezza della fede, perché [come ha detto ratzinger a proposito di mosè] abbia “visto dio”, si potrebbe dire che tale evidenza_fenomenologica della veridicità dei vangeli sia in realtà una conseguenza, posta a posteriori, di questa sua certezza della fede, posta a priori: cioè, solo questo soggetto vedrebbe fenomenologicamente l’evidenza veritativa dei vangeli. ma tale evidenza, anche se a posteriori, è reale, per cui potrebbe dover essere guadagnata da qualunque soggetto. l’evidenza fenomenologica, posta a posteriori, della veridicità della testimonianza dei vangeli, può essere guadagnata da chiunque, perchè quella certezza della fede a priori [quella “di mosè”] in realtà appartiene a ogni uomo: tutto il creato è infatti certezza e prova della fede, perché [normalmente] esso non dovrebbe esistere, per cui l’evidenza_fenomenologica della fede può guadagnarsi da una percezione “contemplativa” del creato: quella “meraviglia”, di cui ha parlato aristotele, per un essere [la creazione] che esiste, e che non dovrebbe esistere, e che quindi ha lo stesso effetto di una visione. de zan, commentando il dubbio di tommaso, ha paragonato la fede, esperienza soprannaturale, ad un soprammobile che deve poggiare su di un mobile, che sia base/fondamento, fisico e tangibile, della fede come l’apparizione del risorto a tommaso: un “segno”. questo “mobile” è lo stesso creato, la stessa natura_creata: fenomenologicamente [secondo la dim_11], la natura creata, poiché normalmente non dovrebbe esistere rispetto all’essere necessario, dovrebbe avere fenomenologicamente per ogni uomo la stessa funzione dimostrativa che ha per la fede l’apparizione del risorto e ogni altra visione/apparizione. spesso ci si sveglia al mattino con lo “stupore” di esistere, e si dice, “che cos’è tutto questo che mi appare ?”, ci si stupisce [fenomenologicamente] di esistere, si intuisce in profondità che non si dovrebbe esistere. quella volontà, che secondo schopenhauer impone all’uomo di esistere, è la volontà agente e creatrice di dio.